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Sovvenire: fede e carità   versione testuale


Ad Abano Terme, in occasione del Convegno Nazionale degli incaricati diocesani, uno dei temi è stato quello relativo al rapporto tra nuova evangelizzazione, "sovvenire" e l'essere cristiani credibili. Don Erio Castellucci, parroco e docente di teologia dogmatica, ha sviluppato intorno a questo argomento un approfondimento su Sovvenire: fede e carità che partiva dalla domanda: ci salva la fede o l’amore?
 
Per Paolo sembrerebbe la fede; per Matteo l’amore. Scrive l’Apostolo: “l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge” (Rom 3,28); per l’evangelista invece quanti hanno assistito gli affamati, gli assetati, i forestieri, i carcerati, si sentiranno dire dal Signore: “ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (cf. Mt 25,34-36).
 
Ma questa lettura è superficiale. In realtà Paolo non contrappone la fede all’amore, ma semmai la fede alle opere della legge, cioè la logica della grazia alla logica del merito. Per capire come anche per Paolo l’amore sia centrale, basta rammentare che proprio ai Galati, ai quali ha ricordato il valore della fede che giustifica, sente il bisogno di precisare come “in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità” (Gal 5,6); e soprattutto basta rammentare che ai Corinzi ricorda come la carità è più grande della fede e della speranza (cf. 1 Cor 13,13), perché non avrà mai fine (cf. 1 Cor 13,8).
 
Fede e amore in realtà non sono due grandezze parallele, ma due facce della stessa medaglia. La fede si esprime necessariamente nell’amore, perché non è una semplice adesione intellettuale ma il coinvolgimento di tutta la persona, nell’interezza delle sue facoltà compresi la volontà e gli affetti; un credente che non ha amato si sentirebbe dire all’incontro con il Signore: “non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21). Siccome alla fine, nella vita eterna, rimarrà solo l’amore (cf 1 Cor 13,8.13), cioè rimarrà Dio e chiunque sia reso conforme a lui, poiché “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16), si deve riconoscere la preminenza del criterio dell’amore su quello della fede.
Nel quadro del “giudizio universale” di Mt 25,31-46 è interessante il fatto che chi sarà salvato si chiederà “quando” ha fatto qualcosa in favore di Gesù: “Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?” (v. 37). Può essere dunque implicita la fede, ma deve essere sempre esplicito l’amore; saremo salvati nella misura in cui avremo amato, donando gratuitamente. Se anche un solo bicchiere d’acqua fresca dato ad uno dei “piccoli”, dei discepoli di Gesù, riceverà la sua ricompensa, allora la vita eterna raccoglierà e porterà a pienezza ogni germe di carit&a grave; vissuta e praticata nell’esistenza terrena. È l'atteggiamento del “sovvenire” che salva.
 
In allegato un abstract della relazione.
 
 
Responsabile: Matteo Calabresi
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