Anno 2015 » Homepage Newsletter Febbraio 2016 » Formazione » Le parole del Giubileo: "f" come "fede"
La fede “non è un salto nel vuoto”, o una “illusione” ma una luce “capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo” e di dare ad esso “occhi nuovi” per viverla e interpretarla. E’ quanto si legge nell’introduzione di Lumen Fidei, la prima enciclica di Papa Francesco.
Ai giorni d’oggi, e ancor di più tra le nuove generazioni, la fede invece è vissuta come un aspetto marginale o comunque non in grado di incidere sulle scelte e sugli orientamenti della vita.
I ragazzi di oggi sono il più delle volte cresciuti in ambienti religiosi tradizionali: hanno frequentato il catechismo, hanno giocato in oratorio, sono andati a messa accompagnati dai nonni. Ma quegli ambienti, quegli insegnamenti spesso non sono più in grado di rispondere alle domande che essi portano dentro di se. Cercano, a fatica, di sperimentare nuove strade e percorsi di fede. Cammino indubbiamente difficile e rischioso, anche perché spesso vissuto in solitudine, talvolta in compagnia di adulti che vorrebbero continuare ad essere maestri per un tempo che non c’è più.
Ai giorni d’oggi, e ancor di più tra le nuove generazioni, la fede invece è vissuta come un aspetto marginale o comunque non in grado di incidere sulle scelte e sugli orientamenti della vita.
I giovani, dal punto di vista religioso e del loro percorso di fede, sono al confine tra due generazioni: quella di un passato che non c’è più e di un futuro che non c’è ancora. Il loro è il travaglio di chi soffre il venir meno di un modello percepito come inadeguato e insoddisfacente e per questo respinto, e vorrebbero dall’altra parte, trovare un modo nuovo di vivere il rapporto con Dio, la ricerca di una autenticità di vita, la strada verso la speranza e la felicità. Questo è l’identikit dei giovani fornito da una ricerca condotta nel 2015 dall’Istituto Toniolo.
I ragazzi di oggi sono il più delle volte cresciuti in ambienti religiosi tradizionali: hanno frequentato il catechismo, hanno giocato in oratorio, sono andati a messa accompagnati dai nonni. Ma quegli ambienti, quegli insegnamenti spesso non sono più in grado di rispondere alle domande che essi portano dentro di se. Cercano, a fatica, di sperimentare nuove strade e percorsi di fede. Cammino indubbiamente difficile e rischioso, anche perché spesso vissuto in solitudine, talvolta in compagnia di adulti che vorrebbero continuare ad essere maestri per un tempo che non c’è più.
Ed ecco che i giovani sempre più vivono l’esperienza cristiana in modo del tutto personale, individuale, dove loro stessi diventano il centro gravitazionale: i contenuti, come pure le pratiche, i valori come pure le regole, tutto viene deciso dal singolo, che pesca dalla tradizione come da un serbatoio, prendendo ciò che è utile, lasciando ciò che gli appare inutile o lontano o addirittura estraneo.
In questo modo i giovani si costruiscono la loro fede e il proprio cattolicesimo, dentro una tradizione di fede ufficiale che serve loro come contenitore ma con la quale non si identificano più. Credono ma a loro modo, si definiscono praticanti ma in realtà vanno poco a messa. Credono in qualcosa più grande di loro, qualcuno che li protegge, che li guarda …. al quale però non riescono a dare il nome di Dio.
In questo modo i giovani si costruiscono la loro fede e il proprio cattolicesimo, dentro una tradizione di fede ufficiale che serve loro come contenitore ma con la quale non si identificano più. Credono ma a loro modo, si definiscono praticanti ma in realtà vanno poco a messa. Credono in qualcosa più grande di loro, qualcuno che li protegge, che li guarda …. al quale però non riescono a dare il nome di Dio.
Paolo Cortellessa
Responsabile: Matteo Calabresi - Coordinamento redazionale: Maria Grazia Bambino - E-mail: newsletterincerchio@sovvenire.it
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