C’è un filo conduttore che unisce il primo e l’ultimo viaggio di Papa Francesco: l’integrazione.
Il primo viaggio, nel luglio del 2013, è stato a Lampedusa, l’isola italiana diventata icona del dramma dei migranti; l’ultimo, il 16 aprile scorso, nell’isola di Lesbo, la realtà di confine tra la Grecia e la Turchia.
Le immagini del Papa che abbraccia i migranti del Mediterraneo e dell’Egeo e ascolta il loro dolore di uomini e donne che fuggono dalla fame, dalla povertà, dalle guerre hanno fatto il giro del mondo. Un monito forte contro l’esclusione e l’emarginazione, rivolto a tutti gli Stati che rimettono in piedi le frontiere e alzano muri e steccati. Un appello vigoroso anche alla nostra Chiesa per continuare a favorire l’integrazione e l’accoglienza, con sempre più energia.
Come gesto concreto di misericordia Papa Francesco è rientrato a Roma dall’ultimo viaggio a Lesbo portando con sé tre famiglie di migranti, in tutto sei adulti e sei bambini, che ora sono ospitati presso la comunità Sant’Egidio di Roma, tutto a spese del Vaticano.
Il Giubileo dell’integrazione e misericordia
La strada della Chiesa è quella della misericordia e dell’integrazione. Questo Giubileo rappresenta una grande occasione per riaffermare i valori dell’integrazione e dell’accoglienza, del dialogo e della convivenza con lo straniero, soprattutto se profugo e migrante, in un’ottica di misericordia. Nell’esortazione apostolica postsinodale Amoris Laetitia il pontefice ha scritto:“Le migrazioni rappresentano un altro segno dei tempi da affrontare e comprendere con tutto il carico di conseguenze sulla vita familiare (…). La Chiesa ha esercitato in questo campo un ruolo di primo piano e la necessità di mantenere e sviluppare questa testimonianza evangelica appare oggi più che mai urgente”.
Tutti noi Chiesa in cammino siamo invitati ad aprire il nostro cuore, le nostre braccia verso i migranti che bussano ai nostri confini e chiedono di essere aiutati, ascoltati e accolti. Perché il dramma dei migranti non dovrebbe avere colore politico o religioso ma essere una sfida per tutti gli uomini di buona volontà. Le nuove questioni impongono anche alla Chiesa di trovare risposte urgenti sull’integrazione.
Una voce fuori dal coro
Le parole e i gesti del Papa sono eloquenti nell’indicare la direzione da seguire; parroci e vescovi fanno continui appelli all’accoglienza dello straniero. Ma quanto consenso c’è verso questi interventi pubblici della nostra Chiesa? Sempre meno.
E’ quanto emerge da una ricerca Gfk realizzata per l’ufficio SPSE. Nel 2006, infatti, il 23% degli italiani era totalmente favorevole a questi appelli. A fine 2014 tale percentuale è scesa ulteriormente al 17%. Ma questo dato non meraviglia.
Se gli interventi di parroci e Vescovi nei confronti dell’accoglienza dello straniero non godono di particolare favore è perché la nostra Chiesa è rimasta in questo particolare momento storico l’unica voce fuori dal coro.
Lo ha detto bene il Segretario Generale della C.E.I. Nunzio Galantino: “E' la realtà complessa a suggerire alla Chiesa risposte sempre nuove e non sempre comprese e accolte, soprattutto se si tratta di scelte non politicamente corrette (…). L'accoglienza da parte nostra in questo momento ha tutto, deve avere, tutto il sapore della restituzione".
Numerose opere finanziate con i fondi 8xmille alla nostra Chiesa, tra cui quelle della Caritas, sono un gesto sicuramente eloquente di restituzione e di integrazione nei confronti di persone e famiglie vittime di guerra, di persecuzioni, di povertà e di ingiustizia.
Paolo Cortellessa