Newsletter In Cerchio - Settembre 2014 - Numero X - Anno XII
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Le parole del Giubileo: "r" come "responsabilità"   versione testuale

E’ la parola più usata e abusata del momento. Abbiamo un governo di responsabilità, politici che accettano l’incarico per senso di responsabilità, dirigenti pubblici che si assumono la responsabilità, direttori responsabili di aree, di settori, di progetti. Eppure mai come in questo periodo in cui tutti coloro che occupano posizioni di potere parlano di responsabilità, diminuisce tra i cittadini la voglia di assumersi responsabilità a tutti i livelli. Tra i giovani, in particolare, raggiunge il minimo storico.
Come si spiegano questi risultati assolutamente imprevedibili, anche dal punto di vista statistico?

La banalità del male
Le azioni negative, a volte, non sono dovute a un’indole maligna, ben radicata nell'anima, quanto piuttosto a una completa inconsapevolezza di cosa significhino le proprie azioni. E’ la tesi sostenuta da Hannah Arendt nel libro “La banalità del male”, per spiegare come si sia potuti arrivare allo sterminio di massa degli ebrei compiuto dai tedeschi responsabili della Shoah durante la seconda guerra mondiale. Se adattiamo l’alto pensiero filosofico della Arendt all’epoca in cui viviamo, ci rendiamo conto di una triste verità.
 
Molto spesso il male viene compiuto da persone che non sono ciniche o maligne per natura, ma in realtà poco consapevoli del significato che hanno le loro azioni. Oggi, ad esempio, si pensa sia naturale affidare ruoli di responsabilità agli amici degli amici, a chi fa parte della stessa cricca, della stessa loggia, della stessa lobby, dello stesso partito. Ma proprio perché così fan tutti, da troppo tempo, alla fine si è comunicato soltanto un messaggio: la vischiosità del potere, la banalità del male. Non c’è da stupirsi allora se, proprio tra i giovani, diminuisca la stima e la fiducia nei confronti dello Stato, dei partiti politici, delle istituzioni pubbliche.

La straordinarietà del bene
Lo stile della misericordia è “fatto di amore disinteressato, servizio fraterno, condivisione sincera” ha detto Papa Francesco nell’udienza a circa 200 rappresentanti islamici, induisti, ebrei, buddisti, cristiani e altri credenti. “E’ lo stile a cui sono chiamate pure le religioni per essere, particolarmente in questo nostro tempo, messaggere di pace e artefici di comunione; per proclamare, diversamente da chi alimenta scontri, divisioni e chiusure, che oggi è tempo di fraternità” (3 novembre 2016).
L’abbraccio amorevole, il servizio gratuito, la condivisione fraterna sono la cifra caratteristica della Chiesa cattolica che, anche grazie a Papa Francesco, risulta essere oggi l’unica istituzione con un alto indice di stima e di fiducia e, non a caso, scelta dalla maggior parte degli italiani per l’8xmille.
 
La stima e la fiducia non sono dati di natura, ma di cultura, e possono variare molto col tempo. Per questo, se vogliamo che la nostra Chiesa mantenga il primato, è fondamentale che non venga contaminata da logiche di potere, dalla corruzione, da scandali economici, ma continui ad educare al rispetto reciproco, all’accoglienza, alla pace, al bene comune e, soprattutto, alla responsabilità.
 
Paolo Cortellessa
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


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