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Sostentamento clero: per don Ivan Maffeis (Sottosegretario C.E.I.), “trasparenza e legalità banco di prova per la credibilità della Chiesa”
“Le esigenze di trasparenza e di legalità sono un banco di prova, la condizione di credibilità della Chiesa”. Ad affermarlo è stato don Ivan Maffeis, Sottosegretario C.E.I. e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, intervenuto lo scorso 13 marzo al Convegno nazionale degli Istituti Diocesani Sostentamento Clero. “Il vostro lavoro è quello che cattura di più l’attenzione dei media”, ha esordito Maffeis: “Se per noi parlano i fatti, è anche vero che ogni volta che ci rapportiamo con i media, esponiamo non solo noi stessi, ma la Chiesa”.
“Davanti a tanti episodi di cattiva gestione, veri o presunti che siano – ha ammonito il relatore – lo smarrimento è duplice: in primo luogo perché a tradire la fedeltà è un pastore, in secondo luogo perché il suo farsi mercenario ha trovato complicità, magari con la scusa di non far scoppiare uno scandalo”. “Negli ultimi dieci anni – ha reso noto Maffeis citando un’indagine del Servizio C.E.I. per il sostegno economico alla Chiesa sull’8xmille – mai la Chiesa ha toccato livelli di scarsa credibilità come lo scorso anno, e proprio per una cattiva gestione del denaro”.
“La delusione allontana dall’appartenenza, dal sentirsi Chiesa”, ha spiegato il Sottosegretario della C.E.I., indicando nella necessità di recuperare la fiducia una delle priorità, in una cultura in cui “termini come segreto o riservatezza non esistono più, sono stati spazzati via”. Un esempio per tutti: la “cultura dei social”, dove “l’attenzione che ci è riservata è condizionata al dover rinunciare a fette sempre più significative della nostra intimità, della nostra privacy”.
“I media hanno contribuito a farci fare dei passi avanti, ci hanno incalzati, ci hanno messo sotto pressione. Oggi si tratta di passare da un atteggiamento di pura difesa a una cultura attiva nella comunicazione”, la proposta, che comporta “la necessità di essere pronti, propositivi nel dire la verità”.
“Abbiamo camminato in fretta in questi anni”, l’analisi di Maffeis: “Tante nostre diocesi sono pronte a dare la notizia, per evitare cattive interpretazioni o strumentalizzazione dei fatti” che di volta in volta, dal territorio, assurgono all’onore delle cronache.
“Alla gestione onesta e corretta deve poter corrispondere anche uno sforzo comunicativo che sia da tutti verificabile”, ha ammonito ancora il Sottosegretario, esortando a uno “stile trasparente che risponda a un’esigenza diffusa, a partire dalle nostre comunità ecclesiali”. Solo così, la tesi di Maffeis, “si contribuisce a creare fiducia e volontà di condivisione”. Se fino a ieri, infatti, “la distinzione tra emittente e destinatario della comunicazione era molto netta e precisa”, nell’era dei social “i destinatari non solo scelgono il percorso di comunicazione, ma diventano essi stessi coautori e distributori di comunicazione”.
Per recuperare fiducia ci vuole, inoltre, da parte della Chiesa, un supplemento di impegno per “una comunicazione semplice, diretta”, in un contesto culturale in cui “il dizionario cristiano è scomparso”, dando luogo “a un impoverimento gravissimo del linguaggio”, ha concluso Maffeis.
“Davanti a tanti episodi di cattiva gestione, veri o presunti che siano – ha ammonito il relatore – lo smarrimento è duplice: in primo luogo perché a tradire la fedeltà è un pastore, in secondo luogo perché il suo farsi mercenario ha trovato complicità, magari con la scusa di non far scoppiare uno scandalo”. “Negli ultimi dieci anni – ha reso noto Maffeis citando un’indagine del Servizio C.E.I. per il sostegno economico alla Chiesa sull’8xmille – mai la Chiesa ha toccato livelli di scarsa credibilità come lo scorso anno, e proprio per una cattiva gestione del denaro”.
“La delusione allontana dall’appartenenza, dal sentirsi Chiesa”, ha spiegato il Sottosegretario della C.E.I., indicando nella necessità di recuperare la fiducia una delle priorità, in una cultura in cui “termini come segreto o riservatezza non esistono più, sono stati spazzati via”. Un esempio per tutti: la “cultura dei social”, dove “l’attenzione che ci è riservata è condizionata al dover rinunciare a fette sempre più significative della nostra intimità, della nostra privacy”.
“I media hanno contribuito a farci fare dei passi avanti, ci hanno incalzati, ci hanno messo sotto pressione. Oggi si tratta di passare da un atteggiamento di pura difesa a una cultura attiva nella comunicazione”, la proposta, che comporta “la necessità di essere pronti, propositivi nel dire la verità”.
“Abbiamo camminato in fretta in questi anni”, l’analisi di Maffeis: “Tante nostre diocesi sono pronte a dare la notizia, per evitare cattive interpretazioni o strumentalizzazione dei fatti” che di volta in volta, dal territorio, assurgono all’onore delle cronache.
“Alla gestione onesta e corretta deve poter corrispondere anche uno sforzo comunicativo che sia da tutti verificabile”, ha ammonito ancora il Sottosegretario, esortando a uno “stile trasparente che risponda a un’esigenza diffusa, a partire dalle nostre comunità ecclesiali”. Solo così, la tesi di Maffeis, “si contribuisce a creare fiducia e volontà di condivisione”. Se fino a ieri, infatti, “la distinzione tra emittente e destinatario della comunicazione era molto netta e precisa”, nell’era dei social “i destinatari non solo scelgono il percorso di comunicazione, ma diventano essi stessi coautori e distributori di comunicazione”.
Per recuperare fiducia ci vuole, inoltre, da parte della Chiesa, un supplemento di impegno per “una comunicazione semplice, diretta”, in un contesto culturale in cui “il dizionario cristiano è scomparso”, dando luogo “a un impoverimento gravissimo del linguaggio”, ha concluso Maffeis.
(Fonte Agenzia Sir, 13 marzo)
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